mercoledì 15 maggio 2013

Imparare dalla cornacchia qualcosa sui picconi.

Tornavamo dalla stazione Affori Nord, ieri. Io e Giulia. Erano quasi le otto di sera, c'era ancora luce.
In via Bellerio, angolo via Annibal Caro, all'interno del giardino di una villa, si sentiva un gran baccano: una cornacchia volava tra un albero e l'altro, calando in picchiata a tempi alterni, e gracchiando disperata. 
Ci avvicinammo alla cancellata: in mezzo al praticello inglese, c'era un'altra cornacchia, che non riusciva a volare; a meno di un metro, un gatto grigio, con collarino, acquattato nell'erba in posizione di caccia.
Dopo qualche secondo, comprendemmo che accadeva: la cornacchia a terra non riusciva a librarsi, e la compagna la difendeva, diffondendo un allarme che ha richiamato un sacco di volatili. Calava in picchiata sul gatto, per impedirgli di aggredire la cornacchia zoppa.
Abbiamo dovuto ovviamente lasciare che la Natura facesse il suo corso. Spietatamente, forse, ma un volatile che non vola ha un destino segnato anche se riesci a salvarlo dalle grinfie del felino. Stamattina, la cornacchia era ancora lì, incapace di volare: sugli alberi attorno, cornacchie. Vigili.

A seguito dell'eccidio di Niguarda, un quartiere a me così caro e vicino, dalle cornacchie traggo l'ennesimo giudizio sull'Umanità. Se l'allarme fosse giunto alla prima aggressione, sabato notte, Kabobo non avrebbe ucciso nessuno, tre persone non sarebbero morte per niente, tre famiglie non sarebbero state stracciate. 
Il mio amico Willie, che mi ha fatto conoscere Alan Moore e Leo Ortolani, stamattina a riguardo mi diceva qualcosa così: noi crediamo che la normalità sia una cosa, e questa credenza è malsana. Perché invece dovrebbe sbalordirci che questi gesti non siano più frequenti ancora di quanto non siano. Che la rabbia, l'odio, la frustrazione, l'esasperazione sociale ed umana non esplodano più frequentemente: è normale accettare di subire, è normale accettare questa società che ci impongono subdolamente? 
Riusciamo a trattenerci. Ci reputiamo normali per questo, perché non esplodiamo, perché siamo capaci di ingoiare. Perché ci accontentiamo di una vacanza e  uno smartphone e ci crediamo viaggiatori con abbondanza di amici. 
Kabobo ha sbroccato. Così diremmo alle panche. Kabobo ha sbroccato, ha sfasato, è andato fuori. Ti viene voglia di farlo a pezzi, ma devi ammettere che c'è qualcosa che non funziona nel cervello di uno che s'accanisce su un corpo di una persona a caso con un piccone. Non penso che possa guarire, ma l'internamento in una struttura psichiatrica credo non sarebbe sbagliata. Come aiuto e prevenzione. A vita. 
C'è qualcun altro che è colpevole, e non quel poveretto di Borghezio, che starebbe bene nella stessa struttura di Kabobo. E ci si meravigli che sia ancora a piede libero.
Quando sono stato rapinato, col mio amico Giulio, da due latinos con coltellaccio per strada, la denuncia l'ho portata avanti nonostante avessi riottenuto tutta la mia roba perché ho pensato al mio fratellino, che spesso percorre quella stessa strada. Se avessero rapinato lui, e non me, le cose sarebbero andate diversamente, sarebbero state vissute con diversa intensità. E allora, queste cose desidero non succedano.
Dalla prima aggressione, intorno alle 2, i Carabinieri sono stati chiamati alle 6:28. Alle 6:34 fermavano Kabobo. In sei minuti, 6, arrivavano e fermavano il picconatore. Celeri, efficaci, immediati.
Tale è lo spirito del quartiere, dunque? Se scampo io, chissenefrega? Se vedo, se la veda chi lo incrocia? 
Questo mi procura la nausea per la mia specie. L'incapacità di denunciare come dovere civile e morale, l'incapacità di pensare al prossimo gratuitamente. L'omertà di chi ha visto, e subito, e si è magari pure messo a dormire, si è scaldata l'acqua per il tè. Non una sola persona. Tante persone. Spero per loro che non ci pensino, che siano abbastanza stupidi da non pensare ai morti che non hanno saputo evitare.
E la nausea me la procura pure Borghezio, sì. Provo schifo, per lui, e per chi l'ha seguito. Ma anche per i moralizzatori opposti. Non per gli opposti, per i moralizzatori. Per quelli che invocano uno spirito di quartiere che se non dimenticherà, sarà per il rimorso di coscienza.
E sono avvilito, stremato, spossato, dall'aver per sindaco il nostro sindaco. Che sul Giorno si fa fotografare in groppa a una moto della Polizia Municipale con un'espressione da De Niro che s'è cagato nelle mutande. Che lamenta che la Giunta precedente non gli ha lasciato agenti, quando quella Giunta fu polemizzata per averne assunti trecento. Che vuole di nuovo l'Esercito per le strade, ma si badi, dove l'Esercito c'è già, e non s'incazza, invece, che quei cittadini che invocano aiuto e assistenza non sono nemmeno capaci di comporre un numero telefonico di tre cifre. Non vogliamo divise, quelle che abbiamo hanno dimostrato efficienza, vogliamo solo una cittadinanza decente. Degna.
Perché da tutto ciò, una verità emerge: non c'è un pazzo. Siamo pazzi, tutti.

Le cornacchie hanno vinto. I gatti hanno vinto. Quando la razza umana sarà estinta, il mondo tornerà ad essere un paradiso terrestre. Spietato, onesto, coraggioso.

venerdì 10 maggio 2013

Retrospettiva: all'Ombra della Madonnina atto primo, Andrea Ferrari.

Chi era Andrea Ferrari prima di Operazione Madonnina? Esisteva davvero? Perché è arrivato in classifica con un romanzo arancione?

Andrea Ferrari è un ragazzo del '77, e se ne vanta. Lavora in un centro polifunzionale, lo gestisce, schiva dentiere e stamarra coi tabbozzi. E' laureato in Lingua e Letteratura Norvegesi, il suo libro preferito è Fame. Di uno che fa il flaneur.
Andrea Ferrari nel 2007 ha pubblicato il suo primo romanzo con Eclissi Editrice: Milano A. Brandelli. Il miglior seller Eclissi di tutti i tempi. 
Col detective Brandelli, un tipo noioso, laureato, che non beve, non fuma, chiava male e la notte dorme, Andrea tenta di ribaltare i cliché del noir/hard boiled. Un autore grosso grasso e soprattutto sulla via della dimenticanza ebbe a dirgli che un noir senza il morto è come la maionese senza uova: fortunatamente incorse la moda del veganesimo, perché la scelta di evitare l'omicidio nei quattro quasi cinque romanzi che compongono attualmente la saga di A. Brandelli ha prodotto una certa manica di fans. 
Così Andrea principia a frequentare gli ambienti noiristici meneghini. Nel 2008 fa amicizia con francesco gallone che poi sono me. Pubblicherà, negli anni a seguire, Bravo Brandelli, in cui uno stalker invia a una etoile della Scala frutta avariata con biglietti insultanti; Milano Muta, un cui il caso è quello di un uomo che ha scoperto che la moglie lo tradisce, ora che è morta, nell'oltretomba; Divorzio alla Milanese, in cui una ragazza scappa di casa e Brandelli mena pure le mani. 
Quattro romanzi e una sfilza di racconti, pubblicati su Linus, Cadillac, antologie varie, blogs, etc. Ad oggi, Andrea s'è quagliato 6 (sei) anni di gavetta, onesta, senza ruffianerie, con qualche antipatia ma molta simpatia espressa. Ha fondato con me il movimento dell'Inadeguabile, e se siete qui a leggere basta visitare questo blog per capir di che si tratti. 
Alla Madonnina c'è arrivato perché ha seguito se stesso, la propria strada, dritto per dritto. Senza chiedere. Mai. Come un deodorante. C'è arrivato perché ha accolto con entusiasmo la proposta di un amico, di un nostro amico, Luca Crovi. E l'ha fatto per non deludere l'amico e perché il gioco sembrava divertente. 
E tra le altre cose, è anche per questo, che è mio amico.