L'In-edito


La pagina con gli inediti degli Inadeguabili. In omaggio per gli affezionati.

CINQUE MINUTI PER L'ULTIMO TRENO
di francesco gallone

La Stazione ha un sapore particolare, man mano che passano gli ultimi treni. Il confine l'attraversa quando si ferma il penultimo convoglio, prima di ripartire, verso altri paesi spenti, verso il deposito: è il momento in cui le ultime anime rifuggono lontane, verso luoghi vivi, sonori, vivaci, abbandonando le sue strutture inanimate, ormai, sospese fino all'indomani. La guardia ai tornelli arrotola la sciarpa attorno al collo, il bigliettaio affranca un accesso, nessuno capisce se per liberare l'entrata o liberare l'uscita, entrambi accendono una sigaretta e si salutano, quello in tuta tattica nera in una direzione, quello in abito blu e azzurro in quella opposta. Mancano cinque minuti all'ultimo treno, un'inutile attesa, uno spreco di tempo. I portici sono deserti, qualche ombra che muove verso casa, qualche passo risuona veloce, il ronzio delle luci, le pubblicità dai monitor.
La Stazione Ferroviaria è un luogo che cessa di esistere quando smette di essere frequentata. Difficile stabilire cosa sia luogo o nonluogo, dal momento che i nonluoghi sono luoghi, così come un televisore spento è un televisore, e un telefono sconnesso dalla linea resta un apparecchio telefonico. Però la Civiltà ha prodotto queste atmosfere, fredde, inerti, come avere in casa un manichino e non riuscire a sentirsi soli.
La Stazione di Affori è una cupola di luci gelide in una conca. Una struttura moderna, ben disegnata, senza capire secondo che logica.
La vigilessa cammina sulla ciclabile, tra quattro minuti parte l'ultimo treno, il suo treno, è in perfetto orario per prenderlo e tornare a casa, levar la divisa e tornare, a suo modo, una semplice donna. Avrà talmente fame che la pasta sarà riscaldata solo superficialmente, la ingoierà sul divano guardando con un pizzico d'invidia in TV le modelle che usano per fare le poliziotte nelle fiction. Sua figlia le telefonerà che non torna a dormire, quello che è stato suo marito probabilmente si starà svegliando allora, in Brasile, lei si augura con un machete puntato allo scroto, ma sarà con la solita ragazzetta indigente e disponibile. La vigilessa sgambetta goffamente oltre la ciclabile, supera un tipo col cappuccio della felpa calcato sul capo, sembra aspettare qualcuno, forse col prossimo treno.
Aspetta lei. Forse lei se ne accorge cinque sei metri più avanti, quando sente il rumore. Mancano tre minuti all'ultimo treno, il suo treno, e il clangore di qualcosa di grosso percosso contro un tubo di ferro la raggela. Non si volta. Quando il rumore si ripete, si volta. Il tizio col cappuccio sorride, si vede solo quel ghigno, il resto è una maschera oscura: regge in mano qualcosa, una sorta di clava, un manganello grezzo, se ne sta con le gambe e le braccia allargate accanto alla canalina dell'acqua. Lui attende che lei si sia voltata del tutto, poi percuote di nuovo il tubo con l'oggetto che stringe in mano. Allora lei capisce, definitivamente, che lui ce l'ha con lei. Forse non stava aspettando proprio lei, ma qualcuno, chiunque, ed è toccata a lei. Lei che non può esimersi, con quella divisa, dal chiedergli spiegazioni, le generalità. Di identificarsi e giustificarsi. Mancano due minuti all'ultimo treno, quando il tizio col cappuccio colpisce di nuovo il tubo e muove il primo passo verso di lei. La vigilessa cerca di dirgli qualcosa, ma le parole non hanno suono, le dita cercano di sbottonare la fondina ma ormai il panico la possiede, la deride.
Manca un minuto e mezzo all'ultimo treno, il suo treno, quando sente il calore invaderle il basso ventre, le gambe, quando le lacrime cominciano a scorrere e distorcere il mostro che sta venendo a portarla via, quando un pensiero sciocco fa capolino tra il terrore e la voglia di vivere: la vergogna di farsi trovare pisciata addosso.
Manca un minuto all'ultimo treno quando il ghigno inabissato nel cappuccio le si avvicina all'orecchio, e tra i denti che battono e il mugolio che involontariamente produce, lei sente il sussurro: “Se t'ammazzo adesso, non mi troveranno mai. E tu cosa avresti fatto per impedirlo?”
Poi le accarezza il volto, le asciuga le lacrime. Il ghigno rimane, ma meno offensivo. “Vai a casa”, le dice.
Mancano trenta secondi all'ultimo treno. Un tizio col cappuccio calato in capo si allontana tra le fredde luci della stazione, si dissolve tra le sue ombre. Una vigilessa coi calzoni bagnati corre verso i tornelli, verso la banchina, verso l'ultimo treno, verso casa. Verso un posto tranquillo dove cercare una risposta ad una domanda allarmante. E il dubbio di essersela fatta da sola.

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