Cinema da Camera

Cinema da Camera perché non parcheggiamo l'auto come nei vecchi drive in, né ci inerpichiamo sulle rampe dei moderni multisala, ma i film li guardiamo a letto, stanchi, la sera, dopo la lunga giornata metropolitana, e la percezione cambia, perché il sonno preme, o il sonno fugge... ma se il film non ci piace basta chiudere gli occhi, e via!

Solo Dio Perdona di Nicolas Winding Refn, Danimarca 2013
80 minuti che durano un'eternità. E in questa eternità riscopri cosa sia il cinema. Perché se il cinema è un'immagine che racconta, questo film ne è una delle sue più autentiche espressioni. E tutti i simboli compaiono evidenti, e una storia semplice, un western, si svolge con poche parole ma gesti molto significativi. Le mani di Gosling, le cantatine dello sceriffo. Refn è una potenza. E non fa quello che il pubblico vorrebbe. E questo film è bellissimo, strano, straniante, quel che si vuole, ma bellissimo.

Arizona Dream; bellissimo incipit lappone. Poi mi sono addormentato.
The Illusionist; ma davvero qualcuno è riuscito a confondere questo filmettino, pure caruccio, con l'eccellente The Prestige di Nolan? Mah... godibile quanto prevedibile, ha il miglior pregio in Paul Giamatti.
Moon; e bbravo figliolo di David Bowie. Duncan Jones propone un film di fantascienza malinconico e riflessivo, amaro, riuscitissimo. Ottimo protagonista.
Avatar; oh, blockbusterone con trama superscontata che però alla fine sei soddisfatto! Come quando ti siedi e ordini margherita e media chiara, e non è detto che nella semplicità verrai soddisfatto. Bellissima l'idea dell'intero pianeta come ecosistema connesso via cavo. Gli animali della foresta di Pandora che si organizzano militarmente, esaltanti come poche trovate del cinema ammeracano contemporaneo.
Old Boy; forse mi aspettavo troppo. Bellissima fotografia, etc etc, una storia che dai, su, almeno non fosse telefonato il colpo di scena... belle alcune frasi, tipo "Una roccia e u granello di sabbia affondano allo stesso modo" o "Ridi, e il mondo riderà con te; piangi, e piangerai da solo". Per collezionisti di proverbi.
Noi Siamo Infinito; una autentica cagata. Neanche la colonna sonora, riesce a tirarlo su. Inutile.
Il regno di Ga Hoole: fantasy per ragazzi con gufi e barbagianni: a parte i Punkreas, emozionante e a tratti esaltante. Zack Snyder fa combattere i gufi come i suoi 300. Risente solo dell'aver condensato 9 romanzi in un film (bravissimo!) e dell'oscena canzone che a un tratto spezza senza continuità la colonna sonora orchestrale.
Ralph Spaccatutto: bellino. Fiabona con picchi di divertimento molto alti, dai che siamo tutti amici!
 Frankenweenie: ---
 Volere Volare: bello. Fuori binario come molte cose anni Ottanta. Semplice e piacevole.
 Monsters University: il miglior prequel della storia del cinema.
Mutazioni: un bel postapocalittico visionario pregno di humour inglese.

Good Bye Lenin di Wolfgang Becker, Germania 2003
Sì, l'idea è molto bella. Il film finisce, e io conservo un'espressione cupa.
"Ti è piaciuto?"
"Sì, è carino..."
"Mi sa che non ti è piaciuto."
"No, è carino, molto carino..."
"Perché non mi dici a cosa stai pensando?"
"Sto pensando che questo è un film sulla paura di cambiare, che diventa incapacità di cambiare, e che non serve nasconderlo, o mentire a noi stessi, fingendo che la realtà sia diversa o addirittura migliore di quella che viviamo. Questa donna ha avuto tanta paura da costruire poi una vita intera sulle menzogne, e tutto quel che ottiene sono menzogne, e se invece avesse avuto il coraggio, non dico di cambiare, ma almeno di ammettere la verità, di essere terrorizzata dal cambiamento al punto tale di non riuscire ad affrontarlo, chissà come sarebbe andata la storia. E poi, e poi... e poi è un film sul non voler perdere chi amiamo, e sul perderlo lo stesso. Ed è un film che ti dice che forse dovremmo accettare i cambiamenti come se fossero qualcosa di normale, nel bene e nel male, e invece non ci riusciamo e costruiamo delle bugie complicate che noi stessi per primi crediamo, e forse queste bugie crediamo ci aiutino a vivere meglio, e forse..."
E forse, non so. Forse è anche un film sulla Ostalgia. Su quello che abbiam perso che ci sembra sempre meglio di quello che abbiamo, anche se abbiamo molto di più e abbiam perso molto di peggio.
O forse, è solo un bel film.
Consigliato.

In Bruges di Martin McDonagh, UK 2008
Quando ero, in una vita precedente, un diciannovenne supponente e antipatico che non fumava, una sera ebbi un diverbio in pizzeria. Eravamo alla Fontana, in via Thaon De Revel, ed era un posto al trancio, spartano, vecchia Milano, di quelli che ti mettono al tavolo con chi capita. Si siede accanto una coppia di cinquantenni, e si accendono tutti e due la sigaretta, all'epoca si poteva. Insomma, mi alzo e vado a chiedere al direttore di sala se possono cambiarmi di tavolo, e quello mi dice che sì, vediamo che si può fare. Torniamo indietro, e questa donna s'incazza e dice che s'alza lei, e aspetta lei un tavolo nuovo, perché a lei queste cose da ignoranti la fanno incazzare. Io sollevo il mento, e con tutta la spocchia e la presunzione che ho in corpo, le rispondo: "Mi scusi, che titolo di studio ha lei?"
Da dove mi fosse venuta, non lo so. Quella mi rispose, che c'entra?, io le risposi che quando avrebbe studiato avrebbe potuto fumarmi in faccia. Di tale uscita, mi vergogno ancora ora, mi mette di malumore pensarci. Avevo ragione, m'ero beccato il fumo e pure dell'ignorante, però sento che sbagliai a risponderle così. Perché tentai di umiliarla, e l'umiliazione non rende mai onore a chi la infligge. Così ora mi sento umiliato io, a distanza di tanti anni, per quell'uscita crudele. Un errore, che può capitare.
Questo bel film, che rende onore a Bruges e merito a parte del cast di Harry Potter (troverete Voldemort, Malocchio, Piton e Fleur), che sa raccontare il noir in maniera originale, senza essere paradossale come la moda Tarantino/Ritchie vorrebbe, mi ha fatto pensare. A quante cose belle ho vissuto dopo aver desiderato sprofondare nell'Ade quella sera in pizzeria. A quanto sono cambiato, cresciuto, a quante cose belle ho fatto. Ecco tutto.


Miscellanea
Rapidi, vi informiamo sui film che abbiamo visto ultimamente ma che a causa della vita frenetica di tutti i giorni non abbiamo fatto a tempo a recensire. Predators si è rivelato noioso; grandi sorprese invece sono stati Le mele di Adamo di Anders Thomas Jensen, un film che con una risata insegna a non arrendersi di fronte a nulla, e La Antena, un film muto argentino distopico e affascinante, propostoci da Paride Marseglia. Abbiamo visto poi il devastante per il buon umore Blindness - Cecità di Mereilles, tratto da Saramago e che annienta un poco la voglia di vivere. Tanto vale consolarsi col simpatico e riuscito Basilicata coast to coast di Rocco Papaleo, che racconta la storia del solito viaggio in un'ambientazione insolita, e con molta onestà soddisfa lo spettatore che ha bisogno anche di un cinema che sia sollievo, e speranza.

Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno di Christopher Nolan, USA 2012
No, mica è brutto. Poi dopo tre film che nemmeno recensisco perché mi sono addormentato troppo presto, un film di quasi tre ore che mi mantiene sveglio, mica può essere brutto. Certo, la mimica facciale di Tom Hardy se ne va proprio a puttane, con quella maschera, che non viene mai spiegato nemmeno perché la indossi. E pure il doppiatore, che scopro essere Filippo Timi, beh, sarà l'effetto audio, però fa cagare. E Nolan stavolta si sbrodola un po' addosso, ha riempito troppo la ciotola. Ma i colpi di scena ci sono, alcune scene epiche potevano forse esserlo un po' di più, grandissimo Gordon-Levitt. Ma il più Batman di Nolan resta Begins.

Bronson di Nicolas Winding Refn, UK 2008
Filmone. Ormai lo ammetto, a me il danese piace. Ogni volta che mi ci appropinquo, temo la delusione, temo il polpettone, temo la caduta. Eppure, magari alle volte sono film difficili, come Valhalla Rising e il suo naufragio nella nebbia, ma sono sempre cinema, inteso come connubio di percezioni sensoriali differenti ma armoniche, perfettamente; film in cui il sonoro, l'immagine e in narrato compongono un'esperienza estetica espressiva e incisiva. Guardando i film di Refn, ti restano immagini, o suoni, magari solo uno dei suoi primi piani infiniti, statici ma ritrattistici, ed il film, come le grandi opere artistiche, diventa un ricordo reale di un'esperienza reale. Guardare realmente un film, seguirlo e provarlo, sulla pelle o nell'anima, non è esperienza offerta da molti registi, eppure Refn ce l'ha. Ed è così che prende una storia vera, quella di Michael Peterson, Charlie Bronson, il detenuto più pericoloso d'Inghilterra, 34 anni di carcere di cui 30 in isolamento, per aver rapinato poche sterline in un Ufficio Postale. E questa vita ci viene raccontata come se fosse una commedia grottesca, inscenata su un palcoscenico sul quale l'aggressivo Charlie Bronson, coi suoi mustacchi, mostra il suo strano talento, la sua deviata ambizione, sopra le righe. Quello che poteva essere una biografia pesante, violenta e claustrofobica diventa un eccentrico spettacolo, che rende il proprio messaggio ancora più potente proprio perché finge di non raccontarlo seriamente. Bello.

Franklyn di Gerald McMorrow, UK 2008
Che ti resta la curiosità di un trailer di qualche anno fa e recuperi un film che ti aveva incuriosito e trovi di più, che un semplice film fantastico, distopico, mentale, trovi un film che presta ai concetti la fantasia e alla fantasia una riflessione che lascia soddisfatti alla fine di questo intrico di realtà, percezioni, ricerche, complicate ma che però poi tornano tutte, e di cui l'unico difetto forse sta nella lentezza, che non è eccessiva ma c'è. Significativo l'inserviente dell'ospedale, che mentre il film si razionalizza lui di mostra che la realtà è irrazionale. Ma non dico niente che sennò poi ve lo rovino. Bello.

Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi di Brad Silberling, USA 2004
A causa di una insolazione, ho visto il film in stato catatonico, assopendomi per il malessere, ma debbo dire che Giulia aveva ragione: forse un po' cupo, ma assai attraente, questa storia di orfani maltrattati da un cattivone infine punito mi ha conquistato. E' fatto molto bene, e mi ha molto incuriosito sui libri per ragazzi della serie, che però sono 13. Vedremo. Promosso.

La ragazza con la pistola di Mario Monicelli, Italia/Gran Bretagna 1968
Ecchebbello! Meravigliosa commedia su una ragazza disonorata che parte alla ricerca dell'uomo che l'ha resa una vergogna per il retrogrado ambiente socioculturale in cui vive per ammazzarlo a colpi di pistola: la bellissima Monica Vitti giungerà in Inghilterra, e attraverso località che già da sole farebbero un film, conosce una cultura più aperta, libera, o forse semplicemente più onesta, sincera, esplicita. Si scopre così come il rigido costume sessuale, l'ossessionante concezione dell'onore siciliana di quegli anni, e non solo, fosse una totale ipocrisia, molto più disdicevole del costume anglosassone. Un film con un forte messaggio espresso con grande ironia, e a tratti pure poesia. Bello bello bello, da vedere!

Pusher III di Nicolas Winding Refn, Danimarca 2005
Spacca. La storia di Milo, stavolta, è un noir puro. Un piccolo boss che affonda nella solitudine, mentre il mondo che lo circonda si rivela più vorace di lui. Una grande capacità cinematografica rende una storia semplice un eccellente film. Spacca.

Marie Antoinette di Sofia Coppola, Usa 2006
Colossal radical chic, spocchiosamente indie/hipster, insostenibile annoiante biografia sulla noiosa vita della regina di Francia, non abbastanza glamour o punk per essere innovativa, non abbastanza storica per fare il polpettone, non abbastanza cool per fare il videoclip. Di pop c'è solo il rumore delle palle che esplodono allo spettatore alla fine della proiezione. Insomma, dai...

Essi vivono di John Carpenter, USA 1988
Carpenter il magnifico: una grandissima cazzata di film di fantascienza, girata con grande ironia e idee cult. Con due wrestler protagonisti. Certo, è un po' lento, ma Carpenter fa cinema per divertire, divertimento come cibo per la fantasia e per la mente, e ci riesce. Senza pretese, massime rese. Giulia mi ha guardato con compatimento. Eppure...

500 giorni insieme di Mark Webb, USA 2009
Oh, la storia non è niente di folgorante, ma è proprio ben fatto, questo film. Simpatico, girato e montato bene, ottima colonna sonora da pseudoalternativo, una ragazza odiosa, un protagonista simpatico. Un film senza impegno, ma piacevole.

Pusher II di Nicolas Winding Refn, Danimarca 2004
Potente. Potentissimo. Riacciuffa un personaggio del primo film della serie, e racconta una storia potentissima, sull'essere padri, sul non esserlo, sull'essere madri, sul non esserlo, sull'insicurezza, sulla solitudine, su un sacco di casini che si assommano e tu sei lì e sai che è colpa tua però vorresti mettere aposto le cose se solo, se solo, se solo... non fossi solo. Potentissimo.

Pusher di Nicolas Winding Refn, Danimarca 1996
Grazie a Refn il cinema respira una aria fresca e buona anche quando si tratta la solita storia di dannazione autoindotta. Refn ha uno stile iperrealistico ma non per questo meno ricercato esteticamente, è evocativo e attraente, immerge lo spettatore nello schermo, lo sommerge, ne esce fuori con un'esperienza in più. Questo è grande cinema, partorito dall'amore per il cinema di un regista che ha la classe della personalità. Non servo io per dirlo, ma lo dico lo stesso.
Giulia era a mangiare il sushi.

Ashes to Ashes di Matthew Graham e Ashely Pharoah, UK 2008-2010
Ci abbiamo messo un po', per tornare al cinema da camera. Eravamo impegnati a guardare, senza bruciare le tappe, questa serie inglese, seguito di Life On Mars di cui qua sotto. Una teogonia divertente, irriverente, commovente, emozionante, che punta diritta al cuore dello spettatore. Con lo stile che solo gli inglesi hanno.
Ebbene. è stato bellissimo, e ci mancherà. Tanto. Ci è mancato Sam Tyler, ma come si fa a non voler bene, dopo un po', anche ad Alex Drake? Come faremo a guardare polizieschi senza Chris Skelton, Ray Carling, Shaz, Vim e soprattutto, Gene Hunt?
Avrei voluto scriverlo io, e mi sarei sentito un gran figo.
Invece no. Mi mancherà e basta.
Bellissimo.


Human Nature di Michel Gondry, USA 2001
Eh, che bellino! Proprio divertente e ficcante, significativo, arguto. La regia di Gondry mi conferma il suo eccezionale talento, sia per stile che per ritmo, e Kaufman riesce a dire tra le righe molto più di quello che dice a voce alta con questa sceneggiatura. Forse pure per merito di Gondry, che sa rendere l'ironia e la sagacia, in questa storia in cui si riflette sulla propria natura. In fin dei conti, chi sa cosa sia meglio per sé? Proprio bellino, sì!

Milano violenta di Mario Caiano, Italia 1976
Girato a Roma (!), discreto poliziottesco con toni noir. La scena più bella è quella del falsario che, quando gli dicono che se lo portano in Questura, chiede se può prendere due cose: allora si alza, e nella casa che è tutta una pila di libri, apre un armadio e... è pieno di libri pure quello! E piglia due libri...

La città verrà distrutta all'Alba di George Romero, USA 1973
Che dire: Romero che prende un copione in cui un virus prodotto e sfuggito ai militari rende pazza la popolazione di una piccola città americana. L'esercito la mette in quarantena, ma il contagio ormai ha preso piede: chi si salverà, mentre un bombardiere carico di una testata atomica sorvola la zona pronto a cancellare il rischio pandemico con un bel botto? Romero d'una volta, quello che prende la società e la rende una metafora da horror thriller. Perché quel virus, lo senti, è già tra noi, le cose che capitano in questa pellicola son cose che capitano nella vita d'ogni dì. E le istituzioni incompetenti a tutelare il cittadino sono le nostre istituzioni, le stesse che si giustificano dando la colpa al cittadino dei suoi mali, disposte a reprimere il cittadino, a schiacciarlo, a cancellarlo dalla faccia della terra pur di non dover ammettere di non funzionare. Esistono eroi, in questa realtà? Romero risponde che sì, esistono, ma sono inutili, e questa realtà si ripeterà all'infinito. Questo se leggete tra le righe di questo cult: altrimenti, un ottimo horror thriller.


ACAB di Stefano Sollima, Italia Francia 2012
Peccato per questa occasione perduta: che ci fosse un po' di retorica era prevedibile e faceva parte del pacchetto, ma la banalizzazione dello "sbirrismo" come semplice ricettacolo di fascisti, la bidimensionalità dei personaggi, che non sono nè buoni nè cattivi nè niente, la pretestuosità insistita sulla Diaz che fa un po' il VietNam dei poliziotti polizieschi degli anni Ottanta, mancano il bersaglio, soprattutto perché è assente un'autentica e approfondita dialettica sulla Celere, e poi perché, e se questo deve essere cinema la mancanza è grave, manca lo Spettacolo. Se fai un film sulla Celere, devi adottare un pizzico di tamarrismo alla 300, combinare azione e trama come 36 Quai des Orfevres o Tropa de Elite, e non tediare con scenucole di annientamenti psicologici puerili, non girare intorno al Padroni a casa nostra che però un amico negro ce l'ho. Sono inoltre allibito dal fatto che tutto il film è in romanesco, un romanesco squallido e poco nazionale in primis, internazionale in secundis, verista in terzis, ad un livello di comprensibilità a tratti che forse sarebbe stato meglio vederlo in thailandese.
Sollima però il cinema lo sa fare, si vede che ce l'ha nel sangue, l'attacco del film è proprio intrigante, così come alcune scene sono pure riuscitissime. Certo è che, se avesse girato un adattamento italico di Distretto 13 di Carpenter, con gli stessi attori ma meno ambizioni nei temi - attenzione, con gli stessi temi, ma senza fare così i seriosi che rende sempre le cose meno serie perché le banalizza- , sono convinto avrebbe fatto un ottimo lavoro.

Non aprite quella porta di Tobe Hooper, USA 1974
Trasferta sul divano di Paride Marseglia per un horror disturbante che ha influenzato tutto un genere e prodotto delle autentiche icone dell'immaginario del terrore. Disturbante. A Giulia ha fatto schifo, ovvio. A me piace tanto, ogni volta, la questione del macello: ovvero, la vedo così limpida, gente che ammazza gli animali crudelmente per mangiarli, senza pensare almeno a evitar loro le sofferenze, può fare qualsiasi cosa.
Pensate inoltre come sia costruito all'inverso de La Notte dei Morti Viventi: qui i mostri sono dentro una casa dove i "normali" vogliono entrare, quando gli zombie assediano una casa con dentro i "normali"; gli zombie sembrano operare di notte, nel primo Romero, qui i mostri la notte probabilmente dormono, perché la gente la macellano di giorno. Mmmm...

L'Odio di Mathieu Kassovitz, Francia 1995
Questo è uno dei miei film preferiti in assoluto, un cult personale, da quando uscì ad oggi. L'ho rivisto trentundicimila volte, e giuro, è lo stato di grazia del cinema giovanile, di periferia, di rivolta. La regia è straordinaria, giustamente premiata a Cannes, gli attori perfetti, l'idea magnifica e illuminata. Giulia ha voluto rivederlo, e di nuovo, ci siamo inchinati a questo capolavoro.
Poi uno guarda l'opera di Kassovitz, e si chiede, perché? Perché?


Sherlock di Steven Moffat e Mark Gatiss, UK 2010
Che classe! E per forza, ero rimasto piacevolmente rapito dai personaggi di questa riscrittura in chiave moderna dell'iconografia sherlockiana: Steven Moffat è il creatore di quella sitcom straordinaria che fu Coupling (UK 2000-2004), dialoghi brillanti e grandi trovate incluse!
Comunque, Sherlock si distingue per svariati motivi. Innanzitutto il formato è congeniale alla narrazione, tre puntate da 90' a stagione; a questo si aggiungano attori bravissimi, tutti, i due protagonisti Benedict Cumberbatch (Sherlock Holmes) e Martin Freeman (John Watson) e il resto del cast. L'unico forse è il doppiatore di Moriarty nella versione italiana, ma noi le due serie le abbiamo divorate!
Resta di fatto che è la scrittura alla base che rende Sherlock una serie così gradevole: la trovata di giocare sugli ammiccamenti all'ambiguo rapporto d'amicizia che intercorre tra Watson e Sherlock, la capacità di ricollocare temporalmente e culturalmente ogni caratteristica iconica del classico di riferimento, l'imbarazzante verginità del saccente Holmes, l'ironia sottesa ad ogni scambio senza però ridicolizzare né retoricizzare il pathos o gli aspetti più thrilling o drammatici.
Bella. E bravi. Non oltre le vette come Life on Mars, però devo dire che... we got sherlocked!

Ma come si può uccidere un bambino? di Narciso Ibáñez Serrador, Spagna 1976
Malsano. Un horror con un lucido concetto di base, che i bambini sono quelli che pagano la futile violenza degli adulti. Un'apertura con tutti quei bambini morti per davvero, già procura un taglio negli occhi di chi approccia a questo horror. Che fa paura, perché ci mette a confronto con la nostra coscienza.
Poi certo, il protagonista Tom è fastidiosamente tordo, molla la moglie in giro per spostare un vecchio morto da in mezzo la strada a un fienile da un'altra parte e non riesci a capire perché, sente dei rumori ai piani superiori e non pensa alla moglie incinta al piano di sotto ma si perde a curiosare in soffitta, insomma, è proprio un pirla, e la faccia da minchione dell'attore calca su questo aspetto. Ma per tutto il resto, che cazzotto nello stomaco! E che paura, incluso il finale marxista!
L'unico aspetto che mi infastidisce, è che ci sono parecchi punti in comune col mio racconto La Rabbia Giovane, inedito. Ma fa niente. Mi inchino.

Life on Mars, stagione Due, UK 2006
Tredesìn de mars, e finisce Life on Mars. Una serie che abbiamo gioito a guardare, che abbiamo seguito con emozione, per cui ci infilavamo sotto le coperte del nostro cinema da camera eccitati dalla proiezione! Non posso dire niente, sull'evoluzione e sul finale della serie, se non che è soddisfacente, britannico, emozionante. In un periodo in cui ci si inventa astrusi arzigogolii per mandare avanti i telefilm, o si producono puntate-stampino perché ricetta che vince non si cambia, l'originalità di Life on Mars, la sua freschezza, e in fin dei conti la sua semplicità la rendono vincente su tutti i fronti. Con tutte le risposte al posto giusto, incluse quelle che non devono aver posto. Anche la varietà di toni, dal drammatico al comico, al poliziesco, al tragico, al romantico, al melodrammatico, la rendono una serie completa. Nel nostro Olimpo, tra le eccellenze.

Life on Mars, stagione Uno, UK 2006
Il rinnovamento del poliziesco attraverso la commistione di generi, forse. Ma soprattutto, una grande e bella idea, originale, che gli anni Settanta rendono esteticamente affascinante. L'agente di polizia Sam Tyler viene investito nel 2006 e si risveglia sbirro nel 1973: matto, viaggiatore del tempo, o in coma che sia, scoprirà molte cose che porta nascoste dentro di sé. Il tutto alternando poesia a grande ironia, bei personaggi a trame intriganti, con quello stile british che rende interessante qualsiasi cosa tocchi. Gene Hunt è, ovviamente, il mio personaggio preferito... ma forse dopo Chris.

Rapunzel di Brian Greno e Byron Howard, USA 2010
E così, a causa della cervicale di Giulia che ci ha costretti in casa per tutta la domenica, da bravi bambini dopo pranzo abbiamo guardato il dvd prestatoci dal professor Paride Marseglia e consorte. E dai loro bimbi. La fiaba dei fratelli Grimm che avevo smarrito nelle memorie d'infanzia, riletta per il cinquantesimo classico Disney, è un film assai divertente, ma mi sono addormentato e ne ho perso un pezzetto centrale. Poi mi sono anche commosso però. A Giulia è piaciuto, dice che è simpatico, e che fa parte di quel nuovo filone per cui i film sulle principesse vorrebbero essere meno maschilisti, con adolescenti un po' ribelli e che combattono per emanciparsi - vedi Ribelle -, ma poi alla fine la principessa sembra una Barbie e la storia è socialmente rassicurante, i buoni vincono, i cattivi perdono, gli innamorati si sposano e vivranno per sempre felici e contenti.

La Scuola di Daniele Luchetti, Italia 1995
Giulia, dopo la visione del Distacco, cita questo film, e prontamente recuperato nella vasta videoteca in disfacimento delle nostre case, dopo una tradizionalista pizza al trancio di domenica sera, belli satolli ci infiliamo sotto le coperte e mettiamo su la pellicola. Ne esce una visione piacevolissima, che con elegante ironia mette in atto un'analisi eccellente ed efficace non del nostro sistema scolastico, bensì della missione dell'insegnante. Come sottolinea Giulia, all'apparenza a uscirne peggio sono gli allievi, ma è in fin dei conti evidente che i protagonisti sono i docenti, che per questo sono scolpiti a tutto tondo. Dagli svogliati mestieranti, ai sadici autoritari, ai frustrati molesti, agli incapaci, ai pavidi, fino ai missionari dell'insegnamento, tutti vengono ritratti riproducendo un micromondo che in fin dei conti non è che la nostra società. La messa in scena senza pretese, senza moralismi, senza retorica, restituisce un film efficace e ancora attuale, che insegna con un sorriso. Bello.

Mattatoio 5 di George Roy Hill, USA 1972
Filmone. Probabilmente l'identità d'esperienza e visione ha permesso al regista di prendere l'eccellente romanzo di Vonnegut e renderlo una altrettanto eccellente opera filmica. Pillgrim in viaggio avanti e indietro per la propria vita, come se tutta avvenisse completamente contemporaneamente: un concetto più difficile da spiegare che da comprendere, sia leggendo il romanzo che guardando il film. La messa in scena è ineccepibile, con piccoli tocchi di classe e grande sensibilità. Bellissime le scene con le persone ignorate, tra cui quella dello storico che scriverà il libro su Dresda: il messaggio del film è evidente, la vita non è altro che un succedersi di continui eventi in maniera splendidamente disordinata, ma anche, la guerra non la vince nessuno. E non come affermazione retorica, bensì come realizzazione illuminata: nella Seconda, come in ogni Guerra, nessuno ha salvato nessuno, ma tutti hanno compiuto le proprie lordure, inutilmente. Non serviva bombardare Dresda come non serviva bombardare Cassino, né strategicamente, né come rappresaglia, né per vendetta. Ed è questa l'abbacinante insensatezza della guerra, che spicca in questo film: che la guerra non ha senso eppure si fa con la coscienza che non ha senso. E si muore per una statuetta che non si è rubata e che viene gettata subito dopo, perché così è l'illogica logica bellica. Da vedere!


Detachment - Il distacco di Tony Kaye, USA 2011
Tony Kaye è un bel signore ebreo britannico, con un barbone folto e una gloriosa carriera nel videoclip. E' pure il regista di un film bello e sfortunato come American History X, cult ma per motivi differenti dalle intenzioni, ovvero "il film con Ed Norton che fa il nazi e spacca la bocca del negro contro il marciapiedi".
Detachment è un brutto film? Assolutamente no. Tony Kaye ha un gusto dell'immagine, un occhio che ridona il piacere della vista nel cinema. Eppure ha un difetto. Adrien Brody indossa la maschera della tragedia e la tiene indosso fino alla fine, il film è colto, cita Camus e Poe, anzi il parallelismo tra la casa degli Usher e l'istruzione è potente. Un supplente segnato da un passato torbido, di abbandono e molestie, giunge in una scuola difficile, fa la sua porca figura, ma tutto si guasta perché in realtà neanche lui ha capito niente: nel frattempo, visita il nonno rincoglionito in casa di riposo - probabilmente pedofilo - e salva dalla strada una ragazzetta caruccia che si guadagna da non morire con fellatio non protette. Praticamente, un supereroe monaco postmoderno. E giuro, il film ipnotizza, bellissima l'immagine delle sbarre di galera che stringendosi diventano una clessidra, e belle tante altre cose ma...
Ma Tony Kaye è retorico da dare i brividi (basti pensare ad American History X, appunto). Un regista bravissimo, e col budget all'altezza, che forse non ha le palle per osare l'originalità, o forse non ha un attore come Mario Merola per esprimere la propria autentica natura cinematografica.
Come avere Klimt per fare le spugnature sulle pareti in camera da letto.

Tropa de Elite - Gli Squadroni della Morte di José Padilha, Brasile 2007
Effinalmente un filmone! Una trama ben costruita, una regia fresca e coinvolgente, un argomento serio che sa anche giocare d'ironia senza retorica, un'inchiesta che diventa pure scandaglio etico non solo del Brasile ma del mondo intero, della sua corruzione. E di riflesso, la fragilità degli uomini, il sacrificio di chi crede in un'idea anche se quell'idea è scomoda, e il buonismo di chi crede che fare del bene si riduca a un gesto estemporaneo che metta a posto la coscienza - e avendo fatto servizio civile, ho ben presente la nobiltà deviata del volontariato -. Un alto ufficiale del BOPE, i corpi speciali che contano 100 uomini in tutto il Brasile, irreprensibili e incorruttibili, cerca il proprio sostituto perché non regge più la responsabilità e la tensione del proprio ruolo. Ma il Brasile è corrotto, corrotta la Polizia, corrotti gli spacciatori, conniventi le favelas e in qualche modo connivente anche la media e alta borghesia. Non si salva nessuno, e anche gli eroi scontano con la propria solitudine il "fare la cosa giusta", La scena chiave del film nella mia percezione è questa, ma potete vederla senza rovinarvelo:
Ecco una maniera di fare cinema con passione e sensibilità, componendo uno spettacolo per lo spettatore che sia anche stimolo di riflessione. Bellissimo.
L'Impero colpisce ancora di Irvin Kershner, USA 1980 Il Ritorno dello Jedi di Richard Marquand, USA 1983 Per Giulia, questo è l'epos dell'infanzia: il fiabone di una galassia lontana lontana, con quegli eroi risibili e una trama ingenua, con dialoghi a tratti adatti ad un pubblico infantile. Eppure sono quelle storie che ti si imprimono in testa, come Cappuccetto Rosso o Pollicino, e diventano l'archetipo di un'esistenza. Con ciò, mi sono addormentato dopo venti minuti sia dell'uno che dell'altro. Ma gli effetti speciali d'una volta, mi si perdoni, sono inarrivabili dal cinema computerizzato. Con rispetto, e un sorriso malinconico.
Carnivale di Daniel Knauf, USA 2003-2005 Una straziante perdita di tempo nella vana speranza che ad un certo punto gli spunti facciano partire una storia che si arena su se stessa fin dalla prima puntata. Spacciatoci come una specie di Twin Peaks, con cui in comune ha solo il nano, ma nessuna classe, nessun acume, nessun intrattenimento. L'eletto del bene è uno sfigato che viene raccattato da un circo come voleva il grande disegno: il circo innanzitutto è un luna park, e l'eletto del male è un prete dall'oscuro passato. Originalità zero guastata dall'incapacità di raccontare almeno la solita storia. Ad un certo punto, comincia a seminare prurigini per accattivarsi un po' di attenzione inutile. Pessimo, lento, o come dice Giulia, pachidermico. Un'autentica tortura, brutto brutto brutto. Senza pietà. Se volete sapere che ne pensa Giulia, cliccate QUI! Django di Sergio Corbucci, Italia 1966 E mi sono addormentato. L'avevo già visto, ma da piccolissimo, epperò, a parte quella scena del cowboy che si trascina dietro la bara in cui sapevo benissimo ci fosse XXX non ho trovato niente più che un buon solito western. Anni luce dal sottotesto del Grande Silenzio, il problema principale è che è stato un film scritto mentre si girava, e si sente. Giulia, in compenso, non si è addormentata e per questo mi ha odiato. Ma lei ha ventiquattro puntate di Carnivale da farsi perdonare... Miracolo a Milano di Vittorio De Sica, Italia 1951 Io sono crollato, ma mi stava piacendo molto. Quando è finito, Giulia mi ha detto che era stato bellissimo. Immaginando che non si riferisse a me ma al film, l'ho recuperato il giorno successivo, appena dopo la gastroscopia, approfittandone per riposare e rilassarmi. Invece mi sono commosso, ma non tanto per la (bella) storia di Totò il buono, o almeno, non solo: mi sono commosso per questa idea di fare cinema, che è un'idea di guardare al mondo e alla vita, con semplicità ma non per questo con scelte scontate (pensate agli effetti speciali e localizzateli nel 1951), e con classe, sottile (la storia d'amore tra la bianca e il negro, che poi a ruoli invertiti non può essere lo stesso, perché forse col colore della pelle cambia anche la prospettiva del rapporto). Insomma, un film eccezionale, alle radici dell'urban fantasy che qualcuno crede di aver inventato, una fiaba che, essendo tale, racchiude in sé tutta la potenza archetipica necessaria a penetrare nello spettatore come se in quel fazzoletto di terra aspra e inospitale ci fosse passato pure lui, cinquantadue anni fa.
Il Ladro di Orchidee di Spike Jonze, USA 2002 Originale, geniale, simpatico, autoriale, spiazzante, grandissimi attori, battute da antologia (Scrivere è partire per un viaggio verso l'ignoto, non costruire il modellino di una barca che ti piace tanto)... però due palle. Mi sono addormentato dopo 40 minuti. Giulia alla domanda "E' stato bello?" ha risposto con un sommesso "Sì... un po' lento." Punishment Park di Peter Atkins, 1971 Pseudodocumentario ucronico in cui giovani dissidenti vengono introdotti dai cani dei potenti in un parco di punizione per venire rieducati. Hippies, negri, pacifisti, femministe, comunisti, terroristi, tutti in un campo nel deserto in cui la Guardia Nazionale si lascia prendere la mano. Socialmente claustrofobico, gli accusatori sono davvero malsani e soffocanti, gli accusati sono sempre giovani, ma a loro è inutile affezionarsi. Geniale e avanguardistico, efficace.
28 settimane dopo di Juan Carlos Fresnadillo, UK 2007 Con meno ambizioni sociologiche ed autoriali rispetto all'ottimo predecessore 28 giorni dopo di Danny Boyle, UK 2002, un buon horror epidemico/zombie con buone intuizioni (il portatore sano) ed un incipit eccezionale. Bella la sceneggiatura costruita sul meccanismo che ogni gesto eroico, coraggioso o altruista comporta sempre la rovina di chi lo compie, mentre l'unico vero grande gesto di codardia allunga la vita al personaggio in questione. Non lo rivedrò, ma ne è valsa la pena. Ovviamente l'ho visto che Giulia non c'era... Il Cowboy con il velo da sposa di David Swift, USA 1961 Tecnicamente eccellente, tanto che dal 1961 umilia le computer grafiche del 2012, coi suoi burattini in stop motion e il raddoppio dell'attrice singola per mostrare le gemelle. La trama è quella classica del sosia, dello scambio, e diventa una trappola per genitori, appunto. Ne risulta un film grazioso, seppur mi sono addormentato appena dopo il primo colpo di scena... Giulia pensa sia bellissimo, ed ha addirittura visto parte degli extra del DVD. Man on Fire - Il fuoco della vendetta di Tony Scott, USA 2004
Tamarro. Tamarrissimo. Troppo lungo. Retorico, con picchi di patetismo, e telefonatissimo. Scene di azione indecrittabili tra i fotogrammi ridotti a frame schizofrenici. Però, Tony Scott secondo me ci sapeva cosa ci vuole al cinema...
Ps uno dei rarissimi casi in cui un vengeance movie mi piace più nella parte preparatoria (Denzel W. che piano piano fa amicizia con la bambina ricca e bionda) che in quella della vendetta.
Il secondo film di Shane Meadows che guardo, quello che mi è stato spacciato per un capolavoro, non lo è: è un bellissimo film, dove le musiche di Ludovico Einaudi stonano con una regia eccellente e fresca, soprattutto quando accompagnata dalla musica dell'epoca. La vicenda del bambino che diventa skin perché gli skin sono gli unici ad accoglierlo è dolce e toccante,  gli attori sono proprio bravi, ma parte un film e poi ne vedi un altro. Quindi sì, il film, che si conclude con una bellissima scena accompagnata da una cover degli Smiths, è gran bello, ma no, non sarà il più bello della vostra vita. Dello stesso regista, il vengeance movie Deadman Shoes è uno di quelli che colpiscono. Comunque, gli Inglesi ci sanno sempre fare. Il migliore film sugli skin, da parte mia (troppo retorico American History X, pretestuoso Skinheads, sottotono The Believer)
Il primo film di questa sessione di cinema da camera, in cui vincono i film durante i quali non mi sono addormentato, perché io e Giulia i film li vediamo a letto, l'abbiamo messo sul lettore con un desiderio forte e malinconico di anni Ottanta. La storiella di Numero 5, robot pacifista prodotto dall'industria della guerra, è una ingenua e simpatica fiaba moderna, contiene alcune battute da antologia (Sono sicuro che è vergine. O almeno lo è stata.), ha in nuce parecchi temi della fantascienza robotica Ottanta, e lascia intravedere potentemente la grossa influenza che ha avuto su quel grandissimo capolavoro che è Wall-E, dal design dei robot ad altre cose che ha notate Giulia. Ci voleva.

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